Un grande spazio vuoto. Dal soffitto una fila di neon illumina il tatami verde che ricopre gran parte del pavimento. Attorno al perimetro del tappeto, silenziosi e concentrati, una ventina di giovani attendono.

Al centro della stanza c’è un uomo dall’aspetto forte e deciso; ad un suo cenno gli allievi dicono insieme “Oss” e si dispongono in cerchio, pronti per iniziare. Federico Tisi, autorevole insegnante di arti marziali e fondatore di Tribe Jiu Jitsu Italia, con tono calmo introduce la lezione: «Oggi studieremo gli strangolamenti».

Un antico racconto giapponese narra di un allievo che chiese al proprio maestro: “Tu mi insegni a combattere, ma mi parli sempre di pace; come puoi conciliare le due cose?” Il maestro rispose: “È meglio essere un guerriero in un giardino che un giardiniere in guerra”.

Mentre osserva gli allievi che, a coppie, lavorano al suolo, Federico ci illustra il suo pensiero: «È diversa la pace di un guerriero che non ha paura della guerra da quella di un giardiniere che vive nel terrore che qualcuno, da fuori, possa arrivare nel giardino ed aggredirlo». Possiamo affermare che l’antico proverbio giapponese riecheggi Si vis pacem, para bellum? «Certo, anche se io non lo interpreto in senso intimidatorio; la mia idea è che non possiamo conoscere la pace se non abbiamo affrontato anche il conflitto: studiamo il combattimento per essere preparati nel caso in cui possa accadere».

Attraverso il Jiu Jitsu, uno stile di combattimento di origine brasiliana, i praticanti sono guidati a conoscere e addestrare istinti primordiali, come quello dell’aggressività. «Preparare dei ragazzi alla lotta – prosegue con passione Federico – non significa promuovere filosofie violente, ma fornire strumenti in modo che sappiano poter scegliere, consapevolmente, come muoversi in caso di conflitto».

È molto affascinante osservare le coppie di atleti confrontarsi sul tatami della Palestra Spettacolo di Cremona durante un allenamento di BJJ: all’inizio e alla fine del combattimento si salutano con un abbraccio e l’intensità agonistica procede parallela con il rispetto per l’avversario. «La competizione è un confronto e l’aggressività ne fa parte – ci spiega il maestro – ma rifiutiamo in modo assoluto la violenza, intesa come volontà di nuocere a qualcuno. Ogni volta che vinci, spiego ai miei allievi, devi ricordarti che l’avversario ti ha dato l’opportunità di conoscerti meglio e di vivere un’esperienza importante». Con un sorriso, poi, conclude: «Alla fine, come nel gioco degli scacchi, il pedone ed il re finiscono nella medesima scatola».

La saggezza e la calma che quest’uomo emana non contrastano con l’aspetto da temibile guerriero; discorrendo con lui, tutti i pregiudizi sugli sport di combattimento si dissolvono come neve al sole. «Per due o tre persone che portano sulle prime pagine dei media le arti marziali con connotazioni negative, ce ne sono altre centinaia che, nel silenzio di numerosissime palestre in Italia e nel mondo, lottano sul tatami aumentando la propria autostima e trovando un’educazione ed una disciplina che magari non hanno avuto ricevuto altrove».

Salutando Federico, ne approfittiamo per chiedergli se è in pace con sé stesso. Mentre un ampio sorriso si apre su un viso che porta i segni di tanti combattimenti passati, risponde: «All’alba dei 50 posso dire di sentirmi più in pace rispetto a quando ero giovane: la lotta inizia contro l’avversario ma, con il tempo, ti accorgi che la vera sfida è contro i tuoi limiti. Il Jiu Jitsu ti toglie la guerra dal cuore: il lavoro profondo su te stesso conduce gradualmente ad un equilibrio interiore che porta, infine, alla pace».

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